CARMINECANTA intorno alla poesia di Carmine Lubrano
CARMINECANTA

BASTA ! Vado via dalla poesia emigrare dalla poesia chiedere asilo politico-poietico “ … stomacato e scoraggiato dalla mediocrità che m’assedia e n’affoga … “ ( Giacomo Leopardi ) “ La nostra società è disfatta,e la borghesia è morta, il teatro non esiste più, l’erotismo è stato fagocitato dal consumismo,ci hanno anestetizzati, imbottiti di tranquillanti,sono riusciti a non farci più reagire. Hanno proprio vinto gli imbecilli,gli idioti.” ( Carmelo Bene ) ora che i poeti sono tutti morti e siamo distratti da peti ora che Sanguineti non fa più paura e da più parti stanno bisbigliando: mandiamo al dimenticatoio municipale tutti i Balestrini ed i Pagliarani intanto che hanno riaperto i vespasiani ed i mondadoriani contenitori di indifferenziata ora che tentano anche di cambiare la storia cancellando gli ultimi anni del secolo breve(ed intenso) e le ultimissime avanguardie ( vedi Barilli e la “sua” Terza Ondata”) ora che tutta l’arte è ‘ngenucchiata tra lo fetore putrescente di guaste canzonette deliranti ora che hanno vinto loro li illittarati suonatori di zampogne sterilizzate e che hanno globalizzato anche la taranta e la tarantella lu purpe alla pignata la pitta di patate il triangolo (maledetto) : De Angelis-Merini-Arminio ha edificato macerie su macerie creando proseliti a dismisura e con paroline ulcerate e molli come cimici così prive di sesso votate al decesso in caduta libera depresse continuamente sottoposte alla rima fecale e tra le lagne ed i flussi mestruali doloranti di sorelle zitelle e tra trip trap spoken rap poetry slam e multimedialità con qualcuno che tenta la “novità” intrecciando fili pagliuzze e sbadigli IN QUESTO LETAMAIO E DOVE SALVINI E MELONI ED IL PONTE SULLO STRETTO … E LA STRISCIA DI GAZA … ED ANCORA SI MUORE si scrivono sonetti e madrigali (e tutti felici e contenti) e si canticchia nonostante il malaffare … È MUNNEZZA PURA ( ti prego non chiamarla poesia ) E CON QUESTO LIBRO DICO BASTA E VADO VIA …
![Carmine Lubrano Carminecanta Milano-Napoli, Fabio D’Ambrosio Editore - Terra del fuoco, 2023/2024 Poeta, operatore culturale, fondatore e direttore dell’«Archivio della poiesis contemporanea Poetry Market», del «Lab-Oratorio Poietico per le Arti» e della rivista-Casa editrice «Terra del fuoco», nonché direttore artistico di eventi, manifestazioni e festival, Carmine Lubrano (Pozzuoli [NA], ) è uno dei pochi autori italiani più assiduamente e fruttuosamente indagati. Due soli esempî: L’impulso al dire di Lubrano parte sempre dal senso di frustrazione e di rabbia di fronte a certi accadimenti sociali, la cui comprensione è impedita dal linguaggio scandalistico e narcotico della cronaca, dallo scorrere patinato delle immagini televisive, dal consumo veloce e dalla perdita nell’oblio di tragedie collettive e speranze di cambiamento (Roberta Moscarelli); Una poesia in odio alla poesia che ad ogni verso esonda, e ad ogni immagine si cerca fuori da se stessa; una poesia in cui la lingua è cosa, e conserva la tattilità gustativa ed erotica, e la mobilità orale e la forza del dire proprie del muscolo boccale; è cosa ed osa, osée e appunto sboccata, in ispregio di liricherie amorose: così indicandoci, e quasi mettendo in esponente, una tendenza alternativa e d’avanguardia che, sebbene costretta ad una condizione di semiclandestinità, appare di notevole rilievo e di grande significato nella realtà della letteratura italiana di oggi. Come una delle ultime linee di resistenza, come una delle ultime linee di attacco (Marcello Carlino). Come dichiarammo recentemente, per il poliartista napoletano «barocco è il mondo». La sua è una poesia fisica, muscolare, fabbrile, strenuamente antagonistica e insaziabilmente provocatoria; una poesia aspra, irriverente, ferocemente antilirica, programmaticamente desublimata e contaminatoria, nutrita insieme di risentimento e joie de vivre (e d’écrire): […] così asterisco le parole nuove e minuscole e così pure le censure cruscole e tornerò a la grotta e scriverò canzoni contro lo munno quadro e vers e vers tra cessi e chiassi e suoni fessi contra chi si grassa a mariulare spesso vomiterò urine irato come il maro e viscere strappate da insani carmi entro un errato purgatorio di speranze assai fallute erbose oscure ascose e noiose tra l’ozio ed il giuoco e come al supplizio della ruota dentro vi ronzerò quale mosca di ferro dal meccanico ronzio e di altre scintille dirò e paralisia di lingua ebbe il Lubrano il tre di dicembre del milleseicentottanta ma saprò conquistare il mondo con la drammatica intensità di uno stile “a la napolitana” tra balli di gioia e palpiti di pena vertigini ignote a ciel sereno […] Testi spremuti dalle viscere, ma anche dalla parte più nobile del cervello, contro la deriva mistico-simbolico-consolatoria e la trionfante ipertrofia neoromantica dell’io che ammorba senza pietà il lettore d’oggidì; un perenne, ingovernabile attacco al corpo odiosamato della scrittura, screziata di dialettismi, accusati arcaismi e relitti di lingue inventate; una carnevalizzazione inesausta che riesce a tramutare il più crudele e collerico sabotaggio in edificio pianificato, organizzato, gerarchizzato; una voce fortemente problematica e sapiente, spessa di strutture iterative, parallelismi, equivalenze formali, testure fonicamente accordate, usi insistiti d’allitterazioni e trame sonore (cfr., per esempio, «nel bisdrucciolo bisticcio nel mosaico marinista / della meraviglia e che giunge al puro suono»): […] ai chiassi di fanciulla m’intricherò quale portulaca a tutte l’ora l’amore in tutti i luochi la terra mi offrirà la bocca il tremito del seno il sasso e l’acqua […] ed ancor piscerò il mio vino sul muro attento a centelliare lo speziale di surchi siccati che more l’arte ’ngenucchiata e fete ’o ciato a nichiliar l’abuso co’ l’estro de la lengua strusa lo spasmo ricusato ’ndove rabesco scarto se sculora in stracci fradiciati a rifiorir tra pozze lo fetoro co’ spiffero de guasta putrescenza in simil canzonetta similmente guasta ora s’inventa amor non ti scordar di me nel bisdrucciolo bisticcio nel mosaico marinista della meraviglia e che giunge al puro suono e spesso a spasso tra gli orgasmari ed i fotteri i chiavari come scrive leporeando Edoardo […] Una parola al calor bianco intesa all’azione e all’esecuzione vocale che – accogliendo tutto il dicibile e oltre – fa convivere e clamorosamente confliggere alto e basso, sostanza e zavorra, acuzie e corrività, fascinazioni e repellenze, mestiere e candore spinto a tratti fino alla più stridente e però mai disarmante ingenuità. Un poeta-vate che non si rassegna a esserlo: […] e CARMINECANTA e tu scalza ti mostri e danzi madonna ignuda al guardo e ne la vesta scinta e tra li guasti i fasti delle simmetrie celesti ti mostri e quale esca nella miracolosa pesca ’o viento ’nmiez’e cosce t’arrefresca CARMINECANTA dei desideri in tanta gabbia e cresce il verno di sotto al fango cupo Carmine canta con arguto sibilare il madrigale e con la piva rusticana il grasso cantare per il danzare osceno mentre la terra trema la voce trema nel pigro e doloroso verso senza intervallo alcuno tra un piglia e lassa CARMINECANTA si finge in letargo ti porge in dono il mare ed il naufragio il vomito filato il ruggito rubato al dolore e sonando tamburi spargendo la sementa il pizzicore al core disarmato e tuttoquanto alla bisogna […] In un’epoca di rinunzia alla riflessione e d’orrore della profondità, leggere – e ascoltare – Lubrano è un dovere. Gualberto Alvino](images/th/sd_6710e45c81612.jpg?no_cache=1729160371)
Carmine Lubrano Carminecanta Milano-Napoli, Fabio D’Ambrosio Editore - Terra del fuoco, 2023/2024 Poeta, operatore culturale, fondatore e direttore dell’«Archivio della poiesis contemporanea Poetry Market», del «Lab-Oratorio Poietico per le Arti» e della rivista-Casa editrice «Terra del fuoco», nonché direttore artistico di eventi, manifestazioni e festival, Carmine Lubrano (Pozzuoli [NA], ) è uno dei pochi autori italiani più assiduamente e fruttuosamente indagati. Due soli esempî: L’impulso al dire di Lubrano parte sempre dal senso di frustrazione e di rabbia di fronte a certi accadimenti sociali, la cui comprensione è impedita dal linguaggio scandalistico e narcotico della cronaca, dallo scorrere patinato delle immagini televisive, dal consumo veloce e dalla perdita nell’oblio di tragedie collettive e speranze di cambiamento (Roberta Moscarelli); Una poesia in odio alla poesia che ad ogni verso esonda, e ad ogni immagine si cerca fuori da se stessa; una poesia in cui la lingua è cosa, e conserva la tattilità gustativa ed erotica, e la mobilità orale e la forza del dire proprie del muscolo boccale; è cosa ed osa, osée e appunto sboccata, in ispregio di liricherie amorose: così indicandoci, e quasi mettendo in esponente, una tendenza alternativa e d’avanguardia che, sebbene costretta ad una condizione di semiclandestinità, appare di notevole rilievo e di grande significato nella realtà della letteratura italiana di oggi. Come una delle ultime linee di resistenza, come una delle ultime linee di attacco (Marcello Carlino). Come dichiarammo recentemente, per il poliartista napoletano «barocco è il mondo». La sua è una poesia fisica, muscolare, fabbrile, strenuamente antagonistica e insaziabilmente provocatoria; una poesia aspra, irriverente, ferocemente antilirica, programmaticamente desublimata e contaminatoria, nutrita insieme di risentimento e joie de vivre (e d’écrire): […] così asterisco le parole nuove e minuscole e così pure le censure cruscole e tornerò a la grotta e scriverò canzoni contro lo munno quadro e vers e vers tra cessi e chiassi e suoni fessi contra chi si grassa a mariulare spesso vomiterò urine irato come il maro e viscere strappate da insani carmi entro un errato purgatorio di speranze assai fallute erbose oscure ascose e noiose tra l’ozio ed il giuoco e come al supplizio della ruota dentro vi ronzerò quale mosca di ferro dal meccanico ronzio e di altre scintille dirò e paralisia di lingua ebbe il Lubrano il tre di dicembre del milleseicentottanta ma saprò conquistare il mondo con la drammatica intensità di uno stile “a la napolitana” tra balli di gioia e palpiti di pena vertigini ignote a ciel sereno […] Testi spremuti dalle viscere, ma anche dalla parte più nobile del cervello, contro la deriva mistico-simbolico-consolatoria e la trionfante ipertrofia neoromantica dell’io che ammorba senza pietà il lettore d’oggidì; un perenne, ingovernabile attacco al corpo odiosamato della scrittura, screziata di dialettismi, accusati arcaismi e relitti di lingue inventate; una carnevalizzazione inesausta che riesce a tramutare il più crudele e collerico sabotaggio in edificio pianificato, organizzato, gerarchizzato; una voce fortemente problematica e sapiente, spessa di strutture iterative, parallelismi, equivalenze formali, testure fonicamente accordate, usi insistiti d’allitterazioni e trame sonore (cfr., per esempio, «nel bisdrucciolo bisticcio nel mosaico marinista / della meraviglia e che giunge al puro suono»): […] ai chiassi di fanciulla m’intricherò quale portulaca a tutte l’ora l’amore in tutti i luochi la terra mi offrirà la bocca il tremito del seno il sasso e l’acqua […] ed ancor piscerò il mio vino sul muro attento a centelliare lo speziale di surchi siccati che more l’arte ’ngenucchiata e fete ’o ciato a nichiliar l’abuso co’ l’estro de la lengua strusa lo spasmo ricusato ’ndove rabesco scarto se sculora in stracci fradiciati a rifiorir tra pozze lo fetoro co’ spiffero de guasta putrescenza in simil canzonetta similmente guasta ora s’inventa amor non ti scordar di me nel bisdrucciolo bisticcio nel mosaico marinista della meraviglia e che giunge al puro suono e spesso a spasso tra gli orgasmari ed i fotteri i chiavari come scrive leporeando Edoardo […] Una parola al calor bianco intesa all’azione e all’esecuzione vocale che – accogliendo tutto il dicibile e oltre – fa convivere e clamorosamente confliggere alto e basso, sostanza e zavorra, acuzie e corrività, fascinazioni e repellenze, mestiere e candore spinto a tratti fino alla più stridente e però mai disarmante ingenuità. Un poeta-vate che non si rassegna a esserlo: […] e CARMINECANTA e tu scalza ti mostri e danzi madonna ignuda al guardo e ne la vesta scinta e tra li guasti i fasti delle simmetrie celesti ti mostri e quale esca nella miracolosa pesca ’o viento ’nmiez’e cosce t’arrefresca CARMINECANTA dei desideri in tanta gabbia e cresce il verno di sotto al fango cupo Carmine canta con arguto sibilare il madrigale e con la piva rusticana il grasso cantare per il danzare osceno mentre la terra trema la voce trema nel pigro e doloroso verso senza intervallo alcuno tra un piglia e lassa CARMINECANTA si finge in letargo ti porge in dono il mare ed il naufragio il vomito filato il ruggito rubato al dolore e sonando tamburi spargendo la sementa il pizzicore al core disarmato e tuttoquanto alla bisogna […] In un’epoca di rinunzia alla riflessione e d’orrore della profondità, leggere – e ascoltare – Lubrano è un dovere. Gualberto Alvino